Quando pensiamo alla demenza, ci immaginiamo un quadro caratterizzato semplicemente da un grave disturbo della memoria, cosa che rende difficoltosa la vita dell’individuo colpito. Se la compromissione delle capacità mnemoniche rappresenta in effetti una delle caratteristiche più salienti della demenza, all’atto pratico si rilevano alterazioni più o meno marcate di almeno un’altra funzione cognitiva, come la capacità di ragionamento logico, l’orientamento spaziale o temporale, le funzioni linguistiche. A questa si affiancano molto spesso alterazioni comportamentali, come ansia, irritabilità, labilità emotiva, tendenza al wandering (vagare senza meta); nell’insieme, queste alterazioni si riflettono sul funzionamento dell’individuo e sulle sue attività quotidiane.
Quanto descritto ricalca molto da vicino il quadro tipico della demenza di Alzheimer, che rappresenta il prototipo del soggetto colpito da decadimento cognitivo; questo anche perchè, effettivamente, circa 3 individui su 4 colpiti da demenza sono inquadrabili come Alzheimer.
Esistono tuttavia altre forme di demenza, che si discostano dalla forma più nota sia per le basi patologiche (vengono colpiti distretti cerebrali diversi, e con meccanismi diversi) sia per le manifestazioni cliniche.
Che cosa è la Demenza Fronto Temporale?
Tra queste abbiamo la cosiddetta Demenza Fronto Temporale (FTD, talora indicata come “l’altra demenza”, proprio per distinguerla dall’Alzheimer): tale denominazione racchiude in sé un gruppo di disordini che hanno in comune la degenerazione di cellule nervose localizzate proprio a livello delle regioni frontali e temporali.
In passato essa era definita anche “Morbo di Pick” (da Arnold Pick, che per primo la descrisse a fine ottocento), ma attualmente tale denominazione è stata abbandonata.
La caratteristica saliente di questa peculiare forma di demenza è indubbiamente rappresentata da una alterazione della personalità e da difficoltà nella comprensione e/o della produzione del linguaggio.
Da un punto di vista strettamente fisiopatologico, la FTD è determinata da un accumulo di una particolare proteina, detta “tau”, e da un insieme di alterazioni (tra le quali una eccessiva fosforilazione) di una proteina chiamata “tdp43”.
Come illustra il Dott. Davide Borghetti, nelle pagine web del proprio sito, sono state descritte due forme principali di FTD: la prima è definita variante comportamentale (o behavioural variant, bvFTD), l’altra afasia primaria progressiva (o PPA).
Nel prima caso, la clinica è caratterizzata prevalentemente da anomalie comportamentali (dalle quali il nome), che peraltro possono insorgere anche in soggetti relativamente giovani, o comunque più giovani rispetto all’età media di una demenza di Alzheimer. A questa si associano modificazioni della capacità di giudizio e pianificazione.
Nella PPA, invece, il deficit predominante è quello del linguaggio, inteso come capacità di percepire o produrre parole e scritti. L’età media di insorgenza, in questo caso, è leggermente più alta rispetto alla variante comportamentale.
Anche nella PPA ritroviamo due sottoforme principali. La prima è detta “semantica”, in quanto viene persa la capacità di utilizzare o comprendere parole e frasi adeguate al contesto, mentre nella variante detta “non fluente” il soggetto fatica a mantenere il flusso del discorso.
Caratteristiche peculiari della FTD
Una differenza sostanziale rispetto all’Alzheimer è il fatto che nella FTD è possibile ritrovare sotto forme associate a disturbi del movimento, che possono essere presenti tanto nella bvFTD che nella PPA. Tra queste abbiamo addirittura la sclerosi laterale amiotrofica, che si pensa essere addirittura parte dello stesso spettro di malattie di cui fa parte la FTD (del quale in pratica rappresenterebbero i due poli estremi – solo cognitiva, o solo motoria). Un’ulteriore variante è la cosiddetta degenerazione corticobasale (o DCB) nella quale sono invece presenti sintomi simil-parkinsoniani, giustificati proprio all’interessamento simultaneo dei nuclei della base, implicati nel movimento. Un sintomo tipico è il cosiddetto “arto alieno”, per il quale il soggetto riconosce come estraneo (non suo, alieno) un arto. Questa forma, molto spesso, viene scambiata per una malattia di Parkinson vera e propria: la diagnosi non è semplice.
Nella paralisi sopranucleare progressiva infine (detta anche PSP), vi è la comparsa di difficoltà nella marcia, labilità emotiva (con riso e pianto spastici e incontrollabili), alterazioni posturali e, sintomo abbastanza tipico, una tendenza a cadere all’indietro. Altro elemento piuttosto caratteristico è la paralisi dello sguardo verticale e verso il basso, cosa che può rendere difficili spostamenti come il salire o scendere le scale in sicurezza. Il termine “sopranucleare”, in questo caso, dipende dal fatto che la proteina Tau si accumula nei gangli della base e a livello del tronco dell’encefalo, poco cranialmente ai nuclei che si occupano dei movimenti oculari.
Esiste una terapia per la demenza fronto-temporale?
Ad oggi, come purtroppo è ben noto, non esiste una terapia specifica per la FTD in tutte le sue varianti. Quel che è possibile fare, ovviamente, è controllare alcuni sintomi, quali ad esempio la deflessione del tono dell’umore, l’agitazione, le condotte legate all’irritabilità e alla labilità emotiva e così via. Il primo e più importante passo, comunque, è quello di individuare e inquadrare correttamente la malattia, cosa che può essere difficoltosa anche per gli specialisti, specie nelle fase iniziali. Di fronte ad alterazioni comportamentali, soprattutto se queste rappresentano una netta variazione rispetto alle abitudini del soggetto, diventa fondamentale cercare il supporto del proprio medico di fiducia, il quale saprà indicare il percorso diagnostico più appropriato.